L’omicidio civico di Abano
I reati di Claudio
L’Editoriale di Alessandro Russello
Sì, certo, le tangenti. Quei soldi sporchi presi dagli imprenditori in cambio di favori truccando gli appalti, decidendo quali aziende far lavorare e quali no, chi far sopravvivere e chi far morire nella partita singola del mercato che è la partita doppia dell’impresa: competere e parare i colpi delle lazzaronìe pubbliche, delle forme tumorali incistate nelle amministrazioni. Certo, le tangenti. Odiose e da punire con anni di galera, sempre che alla fine qualcuno punisca per davvero. Del resto «lui», il sindaco immarcescibile e nomade capace di farsi eleggere in due comuni diversi costruendo un regime avviato al ventennio fatto di quattro mandati e di undici capi d’accusa per mazzette, è finito dietro le sbarre per questo. Ma confessando l’inconfessabile, il signor «io sono innocente» ha fatto di peggio che rubare allineandosi alle fila di chi governa intascando prebende. Perché più grave di questo reato già gravissimo contestato su singoli fatti è un altro, che dovremmo inventare infilandolo nel codice penale: il reato di «omicidio civico».
L’ex multisindaco «io sono innocente» Luca Claudio, nell’imbrogliare il «suo» popolo con quella camicia nera da ducetto in servizio permanente effettivo che dell’innocenza aveva fatto il marchio della campagna elettorale respingendo il fango non termale che «mi gettano addosso», ha ucciso quel che di più prezioso, appunto civicamente, rimane alla società votante. Ovvero la fiducia in chi chiede il consenso per governare giurando di firmare il «sacro patto» fra cittadino e amministratore. Governare con un progetto ma soprattutto tenendo le distanze da manigoldi, corrotti e corruttori. Governare con onestà, il requisito basico che ogni candidato in una democrazia moderna e compiuta dovrebbe possedere per poter pretendere di salire il primo scalino di un municipio che è la casa della res publica. La nostra casa comune.
Invece il corrotto era lui. Corrotto e bugiardo al punto di proclamarsi innocente anche dal carcere dopo essere sfuggito per mesi a un’inchiesta che lo stava inchiodando e che il Ras delle Terme ha rigettato ritenendola un’infamia, una calunnia, una lesa maestà del Regno del Bene che nascondeva il Male. Perfino protervo, nel suo impugnare le leggi che disonorava. Annunciando – udite udite – una causa civile contro la prefettura di Padova che lo aveva sospeso dal ruolo di sindaco di Abano. Lui, il signor «io sono innocente», con dentro il suo marchio di indegnità, è riuscito a far mandare un fax dalla cella e a nominare la giunta comunale indicando i nomi da politico corrotto. Lui, il signor «è tutto falso» che quando venne indagato minacciò querele rivendicando la sua verginità sul fronte dell’intrallazzo, ha danzato con l’imbroglio e ci ha fatto l’amore partorendo il mostro di una colossale truffa istituzionale e politica.
Ha imbrogliato gli avversari, ha imbrogliato i suoi elettori, i suoi nonelettori e, nel suo «omicidio civico», ha imbrogliato una comunità intera compresi tutti coloro che non hanno nemmeno votato e chi non poteva votare. Ha imbrogliato perfino i bambini e i ragazzi ai quali a scuola, nelle rare ed eventuali lezioni di educazione civica, i bravi maestri e professori cercano di spiegare cosa sia un sindaco, quanto importante sia il compito di quel signore con la fascia tricolore che ogni tanto si vede alle manifestazioni nella piazza del paese, da dove arrivino i soldi per costruire le scuole o gli asili o le piscine e quindi il senso delle tasse che sono pagate con il lavoro dei loro genitori. Cosa significhi amministrare una comunità. E se l’«omicidio civico» di un sindaco che si candida sapendo di aver intascato mazzette ha anche un aspetto «finanziario» perché dopo le elezioni falsate costringe il suo comune a tornare alle urne spendendo un sacco di soldi, la gravità di questo «reato» va estesa a qualcosa di più immateriale anche se pesantissimo.
Il riverbero di questa storia quasi grottesca – anni di regno fatti d’imperio e tangenti con tanto di sprezzo per chi dissente e perfino per chi indaga – è un’autobotte di benzina sul fuoco dell’odio del «popolo» nei confronti di chi fa politica e amministra. In un’opinione pubblica che fra crisi e impazzimento generale ormai sta disintermediando ogni istituzione e ogni forma di rappresentanza – le famose «classi dirigenti» che tentano di sopravvivere per non far implodere tutto – la storia del multisindaco di Abano e Montegrotto Terme contribuisce a dare un poderoso colpo alla residua fiducia dell’opinione pubblica nella corretta esecuzione del «patto sociale». Soprattutto proprio davanti alla sfrontatezza di un uomo che della sua «onestà» aveva fatto un punto di programma e di onore carpendo a migliaia di persone la «fiducia» di cui si parlava.
Qualcuno sostiene che nell’estetica dell’autoproclamazione di purezza, Luca Claudio avesse vergato sui manifesti elettorali quell’«io sono innocente» quasi fosse una forma di esorcismo per qualcosa che poteva essere imminente (e che poi è stata). Lui che al massimo, da consumato attore, con il «malaffare» ci aveva solamente giocato. Ai tempi di Gomorra, forse per dar lustro alle Terme o forse solo al proprio ego, il multisindaco in camicia neraaveva recitato nel film «Camorra live show», pellicola sul crimine in salsa veneta dove vestiva i panni di un avvocato piacente e compromesso. Un film talmente memorabile che aveva avuto l’onore di un’unica proiezione, riservata, davanti a qualche giornalista. Un destino, la «vita da film», che anche nei giorni del carcere ricongiunge «il sindaco non più innocente» a qualcuno che crede ancora in lui. Nonostante Claudio sia reo confesso, ad Abano, fra i «traditi» e i ciechi, c’è chi lo difende dicendo che «alla fine non ha fregato soldi a noi». Povera Italia. Povera Abano. Poveri noi.
27 luglio 2016