Passerà la nottata?
Nella conferenza stampa della vittoria, Salvini ringrazia tanti preti e tanti cristiani che, senza clamore, lo hanno sostenuto con la preghiera (e non solo, suppongo).
Un dato si impone all’evidenza: un italiano su tre è leghista, o comunque ha votato Lega. Quanti tra questi i cattolici? In attesa che qualche sociologo passi al setaccio la vicenda elettorale, alcune considerazioni si impongono da subito.
E la prima è che, per una parte dei fedeli anche assidui alla messa festiva, anche attivi nelle parrocchie, anche devoti frequentatori di santuari mariani, in materia di scelta elettorale non hanno pesato i principi della dottrina sociale della Chiesa, gli appelli di papa Francesco all’accoglienza dei migranti, l’insegnamento evangelico di amore del nemico e di nonviolenza.
Nel segreto dell’urna si è operata una scissione tra morale cattolica e sensibilità ecclesiale da una parte e interessi e/o priorità individuali e corporative dall’altra. In nome della rozza affermazione che “la Chiesa non deve fare politica”, ci sono credenti che non distinguono tra coscienza politica e propaganda elettorale e scindono il nesso tra il “date a Cesare” e il “date a Dio” (con la prima affermazione che ha senso in quanto subordinata alla seconda).
Una qualche responsabilità di tale “divorzio” è imputabile anche a un atteggiamento ecclesiastico diffusosi dopo la fine della (presunta) unità politica dei cattolici, quando – per non essere o non apparire di parte – nelle parrocchie e nelle diverse aggregazioni cattoliche si è smesso di parlare di politica, di “allenare” i laici all’impegno civile – per esempio, attraverso la democrazia interna alle associazioni – e di “prestare alla politica” alcuni degli uomini e delle donne migliori. E si è preferito mercanteggiare favori di vario tipo, in alto o in basso, e accontentarci di “leggi manifesto” a difesa di (solo alcuni) valori non negoziabili.
Ma questa è acqua passata, ora abbiamo davanti un paganesimo col rosario in mano. Si era già constatato, dopo le elezioni politiche del 2018 che, tra gli eletti, a prescindere dalle diverse collocazioni partitiche, erano quasi completamente assenti persone con un retroterra ecclesiale (parrocchie, associazioni e movimenti, volontariato, Caritas…), adesso la tornata elettorale europea, con l’appendice delle consultazioni territoriali, sembra confermarlo. Con la speranza che qualcuno possa segnalare significative eccezioni.
Sta di fatto che abbiamo davanti agli occhi e più ancora ficcati nelle orecchie slogan improntati a:
ostilità contro gli immigrati, a cominciare dalla chiusura dei porti;
distorto modo di intendere l’amore del prossimo (prima gli italiani… ma, nella sostanza: solo gli italiani);
libertà di autodifesa armata individuale;
sovranismo che poi è un modo soft per dire nazionalismo;
desiderio di smantellare l’unità politica europea (con buona pace del richiamo alle radici giudaico-cristiane);
logica dell’uomo solo al comando, con un vertice che non propone ma impone, che avoca a sé ogni e qualsiasi decisione bypassando i poteri locali.
Tutto questo avviene con un evidente disprezzo verso quei “corpi intermedi” la cui legittimità e positività, ai fini della coesione sociale e della sana gestione del potere, è un caposaldo della carta costituzionale e, insieme, patrimonio culturale ascrivibile all’ispirazione cristiana.
Nel giro degli ultimi mesi, il capo della Lega nonché ministro degli interni nonché indossatore di divise e felpe, con insistiti e ripetuti attacchi, ha puntato a delegittimare:
* prima le ONG, facendo di ogni erba un fascio e attribuendo a tutti i soggetti in campo le colpe (tutte da provare) di alcuni;
* poi le case famiglia per l’accoglienza di minori in difficoltà, favoleggiando di chissà quali business e interessi privati derivanti da un’ospitalità che è effetto dell’affidamento da parte del servizio pubblico;
* infine, le Caritas che farebbero affari accogliendo e sostenendo persone, migranti inclusi, con l’erogazione di servizi essenziali (mense, docce, ostelli, cure mediche, alfabetizzazione, segretariato sociale) che, in molti casi, tappano i buchi del sistema pubblico.
Insomma, non pochi aspetti dicono la distanza tra il “verbo leghista” e la sensibilità che dovrebbe contraddistinguere sia i singoli credenti, sia le comunità cristiane.
L’adesione a un progetto politico così marcatamente caratterizzato, accompagnato dall’ostentazione di simboli cristiani (reiterata nella prima dichiarazione nella nottata post-elettorale) e da una palese presa di distanza da temi consueti e rilevanti nella predicazione di papa Francesco, impone alla comunità ecclesiale, a partire dai vescovi e dai preti, una seria riflessione sulle carenze, passate e presenti, di un’azione pastorale non abbastanza incarnata nella storia, nel territorio, nella vita quotidiana della gente, non sempre capace di confrontarsi con quelle «gioie e speranze, tristezze e angosce» che la Gaudium et spes indicava come attenzione prioritaria per la Chiesa nel nostro tempo.
Forse occorre riscoprire tutto ciò che, in passate stagioni, aveva significato l’educazione pre-politica, da reinventare in relazione alla società in cui viviamo, agli strumenti di comunicazione a partire dai social, al crescente clima di intolleranza, sospetti e paure per tutto ciò che è “altro” e anche alla consapevolezza di essere prossimi, come Chiesa italiana, a diventare una minoranza (per certi aspetti lo siamo già).
Durante il fascismo, il giovane don Giovanni Battista Montini educò alla politica una generazione di giovani cattolici, nella consapevolezza che prima o poi sarebbe venuto il tempo di spendere quella formazione mettendo le mani in pasta nella vita sociale e civile del paese; in tempo di dittatura, attraverso lo studio di Maritain e altri pensatori cristiani, formava l’ossatura della futura vita democratica.
Mi chiedo se, con le debite e numerose differenze, non ci tocchi oggi di fare qualcosa di analogo. Da una parte, per non disperdere un patrimonio di idee e di esperienze dei cattolici democratici, dei cristiano sociali, dell’associazionismo di ispirazione cristiana, del servizio civile degli obiettori di coscienza, del volontariato socio-assistenziale; dall’altra, per valorizzare le energie giovanili che si mostrano sensibili alle tematiche ambientali e ai progetti in materia di legalità.
C’è da passare la nottata, o forse di organizzare la traversata nel deserto. Senza dimenticare il monito di Aldo Moro: «chi avrà più filo, tesserà».