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Aversa salva gli alberi «Non serve abbatterli»

«Possiamo sistemare i marciapiedi utilizzando un nuovo materiale gommoso»

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Stamani il commissario effettuerà un sopralluogo in via Previtali

Sistemare i marciapiedi di via Previtali senza abbattere gli alberi. Il commissario straordinario del Comune, Pasquale Aversa, ha la sua ricetta per evitare di provvedere al taglio previsto dei pini marittimi collocati lungo la via. Oggi il commissario straordinario sarà a fare un sopralluogo decisivo in via Previtali, accompagnato dal capo dell’ufficio Tecnico Luigino Gennaro e da altri esperti. Aversa, che ha messo in piedi un maxi bando da 1,2 milioni di euro per la gestione del verde pubblico fino alla fine del 2018, vuole confermarsi dal “pollice verde” e quindi è pronto a gettare il progetto previsto invece dall’ex amministrazione Claudio, che prevedeva l’esborso di 500 mila euro per l’abbattimento dei pini marittimi e il rifacimento dei marciapiedi. Il commissario preferisce però seguire le linee ambientaliste. «Oggi sarò in via Previtali per decidere che tipo di interventi effettuare ai marciapiedi», spiega Aversa. «I tecnici comunali mi hanno illustrato un modo innovativo per sistemare i marciapiedi senza provvedere al taglio degli alberi. Oggi sono a fare un sopralluogo lungo la via per capire se le misure sono praticabili». Aversa spiega: «Il marciapiede andrebbe sistemato con un materiale del tutto nuovo, quasi gommoso. Utilizzando questo materiale quando le radici crescono non rompono il sedime stradale, bensì spingono, creando al massimo qualche ondulazione». Gli incaricati mi faranno vedere delle simulazioni e poi prenderò la decisione definitiva. L’obiettivo è salvare gli alberi e sistemare i marciapiedi per garantire l’incolumità di cittadini e turisti». Per la felicità delle associazioni ambientaliste, più volte scese in strada a difesa dei pini marittimi.

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30 marzo 2017(Federico Franchin)

Alberghi dismessi, ci pensa Piano

«Verrà ad Abano per valutare anche il recupero della Primo Roc»

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(Federico Franchin)
La mano di Renzo Piano per la riconversione delle strutture alberghiere dismesse e della caserma Primo Roc di Abano. È ambizioso il progetto proposto dal candidato sindaco Federico Barbierato. Renzo Piano, 80 anni il prossimo 14 settembre, è architetto e senatore a vita.
A coinvolgerlo sarà appunto Barbierato, che con l’ateneo patavino ha già raggiunto un accordo di collaborazione, che porterà la città di Abano. In caso di elezione svilupperà importanti progetti tramite il Dicea (Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientalista) di Padova. Dipartimento che schiera tra i suoi pezzi da novanta Edoardo Narne, professore e ricercatore universitario. Spetterà a lui portare avanti da vicino il progetto sotto l’occhio di Piano. «C’è bisogno di portare avanti progetti seri e sviluppabili», spiega Barbierato. «Per la prima volta il Bo sbarcherà ad Abano per portare avanti un piano di sviluppo di qualità. Con l’Università di Padova coinvolgeremo un architetto di fama mondiale come Piano».
Il candidato sindaco, alla testa di una civica che porta il suo nome, appoggiata da Pd e Cittadini per il Cambiamento, spiega come Renzo Piano sarà coinvolto nella sviluppo di Abano.
«Gli studi saranno portati avanti da Narne, che lavora anche per Ascom e che collabora con Piano», annota Barbierato. «Il senatore a vita valuterà da vicino i progetti portati avanti da Narne e darà il suo definitivo nullaosta ad eventuali piani di sviluppo, dando i suoi preziosi consigli. È molto probabile che Piano venga ad Abano per vedere e valutare da vicino le strutture dismesse e la caserma Primo Roc».
Federico Barbierato sa che questa potrebbe essere per Abano l’ultima chiamata. «Ogni hotel dismesso dovrà essere analizzato singolarmente. Su ogni struttura dovrà essere sviluppato un piano di sviluppo personalizzato, che potrà essere mantenere la vocazione alberghiera o riconvertirlo. Quanto invece alla caserma Primo Roc di Giarre, non potrà mai diventare un campus universitario: è la stessa Università a dirlo. Al Primo Roc ci saranno la Cittadella della Sicurezza e uno spazio ricreativo per giovani e anziani».

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26 marzo 2017

«Abano deve resistere al ricorso sui vigili»

«Abano deve resistere al ricorso sui vigili» Barbierato con Aversa

Il candidato sindaco del centrosinistra appoggia la decisione di far valere anche al Tar i motivi dell’uscita dal Distretto Pd4

comando_vigili_gk(Federico Franchin)
«Fa bene il Comune a resistere nel ricorso al Tar presentato dagli altri centri del Distretto di polizia Pd4A. Abano ha bisogno di agenti nel proprio territorio e di intensificare il progetto degli sceriffi di quartiere». Federico Barbierato, candidato sindaco per una civica che fa riferimento al suo nome (appoggiata anche da Pd e Cittadini per il Cambiamento), si schiera dalla parte del commissario straordinario Pasquale Aversa, che a fine 2016 aveva deciso di uscire dal Distretto dei Colli lasciandolo nelle mani degli altri 4 aderenti. Tre di questi non l’hanno presa bene (Teolo, Torreglia e Galzignano, Battaglia esclusa), tanto da aver portato avanti un ricorso al Tar con richiesta di risarcimento danni. Il Comune di Abano si è ora affidato al legale Mario Bertolissi del Foro di Padova per la difesa di fronte al Tribunale amministrativo del Veneto. «Le motivazioni del commissario erano chiare e assolutamente condivisibili», fa notare Federico Barbierato. «Aversa ha messo bene in evidenza come il Comune di Abano, con il distretto, avesse solo oneri e pochi onori. Avere 17 vigili da condividere con gli altri Comuni a discapito del territorio aponense non era certamente la linea da seguire per garantire la sicurezza ai nostri cittadini. Bene ha fatto Aversa a uscire dal distretto e a tenere i vigili ad Abano, dando vita al progetto dei vigili di quartiere». Progetto che Barbierato ha già in mente di potenziare. «È la linea giusta da seguire. Dobbiamo intensificare il controllo nei quartieri e la presenza degli agenti per strada. La gente vuole vedere i vigili passare perché si sente sicura. Non possiamo che condividere questo concetto con i nostri cittadini». Resta ora da trovare una collocazione dignitosa alla Polizia locale e ai carabinieri, relegati in una struttura fatiscente e ormai inadeguata in viale delle Terme. «Dobbiamo portare avanti il progetto della Cittadella della sicurezza al Primo Roc», dice Federico Barbierato. «Come soluzione tampone dobbiamo trovare un’altra collocazione per i carabinieri, che non possono più stare dove sono, e per i vigili. Per loro un’ipotesi sul tavolo è quella dell’utilizzo della ex Casa delle Maestre, vicino al Crc, dove tra l’altro la Municipale di Abano ha anche il parcheggio sotterraneo dei mezzi».main-logo
20 marzo 2017

Giornata in ricordo delle vittime delle mafie Intervista a don Ciotti

Don Ciotti, il 21 marzo Libera celebra la Giornata in ricordo delle vittime delle mafie in 4.000 luoghi italiani. La piazza principale è Locri, perché questa scelta?

Per valorizzare il positivo della Calabria. Che c’è ed è tanto, nonostante le presenza del crimine organizzato. C’è una Calabria che non accetta di essere identificata con la ‘ndrangheta, con la massoneria, con la corruzione. Una Calabria fatta di persone oneste, operose, accoglienti, impegnate a costruire speranza e cambiamento in realtà laiche e di Chiesa. Libera è lì per loro, e non occasionalmente. Il legame con molte realtà è di lunga data, come dimostra anche il fatto che per ben tre volte la “Giornata della memoria e dell’impegno” si è svolta in Calabria: a Reggio nel 1998, a Polistena nel 2007 e quest’anno a Locri.

Ogni 21 marzo dal 1996 vengono letti i nomi delle vittime di mafia. Sono quasi mille nomi, di cui nel 70 per cento dei casi ancora non si conosce l’assassino. Chi c’è in piazza ad ascoltare?

C’è un’Italia che si ribella all’indifferenza, al conformismo, alla corruzione che devasta i beni comuni e l’ambiente. Un’Italia consapevole che la convivenza civile e pacifica si fonda sulla giustizia sociale, sulla dignità e la libertà di ogni persona. In questo senso il richiamo alla memoria non è mai stato per Libera un esercizio retorico. Quelle persone non sono morte per una targa, una corona di fiori, un discorso celebrativo. Sono morte per la nostra libertà, per la nostra democrazia, ossia per ideali che abbiamo il compito di realizzare. Solo l’impegno personale e collettivo trasforma la memoria d’occasione, inamidata, in memoria condivisa e pubblica, in memoria viva.

“Luoghi di speranza, testimoni di bellezza”: cosa vuol dire lo slogan che accompagna la giornata delle vittime di mafia di quest’anno?

Che la bellezza è un concetto non solo estetico ma etico. C’è chi dice che il nome Calabria derivi dal greco “kalon brion”, che significa “faccio sorgere il bello”. Ma sappiamo che per i Greci il bello e il bene erano concetti intrecciati, indivisibili, perché l’armonia delle forme si rifletteva nell’armonia di una società governata dalla giustizia, senza soprusi e prevaricazioni. Essere “testimoni di bellezza” vuol dire allora non limitarsi a “contemplare” un ideale di giustizia, ma contribuire a costruirlo con le proprie scelte e i propri comportamenti. La speranza è questo impegno, questa costruzione collettiva.

Lei è a Locri da giorni. Il 19 marzo arriva Mattarella per incontrare i familiari delle vittime. Come è l’atmosfera?

C’è una grande attesa. L’ultima visita di un presidente nella Locride risale a cinquant’anni fa, quando Giuseppe Saragat andò a San Luca per incontrare i famigliari di Corrado Alvaro, il grande scrittore. Ma la presenza di Sergio Mattarella assume per i famigliari delle vittime un significato particolare: nessuno meglio del Presidente – avendole vissute in prima persona attraverso la perdita tragica del fratello – può capire le loro ferite e le loro aspettative. È importante che il 21 marzo sia diventato con voto unanime “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, ma questo non deve far dimenticare che nel 70% dei casi i famigliari delle vittime non hanno saputo la verità né ricevuto giustizia. Come che al riconoscimento morale deve corrisponderne uno materiale e giuridico, sulla base di quelle direttive che, anche a livello europeo, garantiscono norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime e dei loro famigliari.

«I beni sequestrati valgono 25 miliardi, bisogna approvare la riforma» ha detto Rosy Bindi. Ma intanto questa nuova legge è ferma al Senato da mesi. Questo stallo che danni provoca all’Italia?

Un grave danno non solo economico, ma sociale e culturale. Quella che sancisce l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie – la legge 106, per la quale Libera indisse nel 1995 una petizione che raccolse oltre 1 milione di firme – è una norma di alta civiltà giuridica perché non solo ripara l’ingiustizia, ma prescrive che dall’ingiustizia riparata nasca una maggiore giustizia. Molti beni confiscati sono diventati veicoli straordinari di responsabilità e cura per il bene comune, nonché strumenti di lavoro, di dignità, di autonomia. E questo in territori anche molto difficili, storicamente soggetti al potere mafioso, alla corruzione e all’arretratezza culturale ed economica che ne derivano. Certo non è sempre stato così, a causa di lungaggini burocratiche o di miopia politica. Perciò ha ragione, Rosy Bindi: vanno approvate con urgenza tutte le riforme necessarie per risolvere quei nodi e colmare quei ritardi, perché quella dei beni di confiscati è una partita di civiltà che non possiamo permetterci di perdere.

Sono cambiati i mafiosi dagli anni 90 ad oggi?
Sono cambiati i mezzi e i metodi, ma non l’essenza delle mafie, che resta la sete di potere, di possesso e di ricchezza. I mafiosi hanno capito prima di molti altri le opportunità di arricchimento offerte dalla globalizzazione, i tanti varchi che si aprivano nella cosiddetta “economia di mercato”, basata sulla sola regola del profitto e sulla falsa idea che la crescita del profitto sarebbe andata a beneficio di tutti. Si è creata così una vasta zona grigia in cui oggi è sempre più difficile distinguere tra criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità economica, come risulta anche da certe inchieste in cui i magistrati faticano a individuare la fattispecie del reato, potendo contare su strumenti giuridici istituiti prima ancora che quell’intreccio emergesse con forza. Tutto ciò ha potenziato le mafie, e al tempo stesso permesso loro di esercitare il potere senza ricorrere, salvo casi estremi, alla violenza esplicita. Quelle attuali sono mafie imprenditrici nel senso più ampio del termine. Hanno una “visione” del mercato, una capacità di stabilire relazioni con imprenditori, professionisti, operatori del mondo finanziario, di diversificare gli affari e perseguirli anche senza un diretto controllo del territorio. Sono mafie “normalizzate”, non più un “mondo a parte” ma parte di questo mondo. Col grave rischio di credere che, siccome è diminuito il tasso di violenza sanguinaria, siano più deboli del passato. Per i morti ammazzati che diminuiscono, cresce infatti il numero dei “morti vivi”, delle persone a cui le mafie tolgono speranza, dignità e libertà.

Qual è stato il momento più difficile in tutti questi anni di lotta alle mafie?
Non parlerei tanto di “momenti difficili” quanto del rischio costante di ritenere le mafie una questione esclusivamente criminale, da delegare all’azione della magistratura e delle forze di polizia. Se così fosse, non si capirebbe il perché della loro presenza secolare nel nostro Paese. La verità è che le mafie sono un fatto criminale, ma prima di tutto sociale, culturale e politico. Un fatto che affonda le radici in quella politica che non serve il bene comune, in quella legalità che è strumento di potere e non di giustizia, e in quella mentalità che pensa solo ai propri interessi e che quando vede qualcosa che non va si lamenta ma non fa nulla per farla andare. Cioè un fenomeno prodotto dalla corruzione morale e materiale, che resta il principale problema del nostro Paese. Per uscirne occorre una politica pulita e lungimirante, occorrono leggi che non servano gli interessi di uno o di pochi, ma occorre innanzitutto una rivoluzione culturale, un risveglio delle coscienze. Per questo Libera punta da sempre sulla scuola, sui percorsi educativi. È la conoscenza, la via maestra al cambiamento.
E il suo momento più difficile?

C’è una difficoltà costante che viene dalla coscienza dei limiti. Ti rendi conto spesso di non essere in grado di dare risposte, di non poter fare quello che desideri o di poterlo fare solo in parte. È anche vero, però, che questa consapevolezza è preziosa perché ti aiuta a crescere, a essere umile, a non sentirti mai “arrivato”. Poi ci sono momenti oggettivamente difficili, come è stato quello della condanna a morte di Totò Riina tre anni fa e il conseguente cambiamento del regime di sicurezza a cui sono sottoposto. Ma sono fatti, questi, che in una certa misura metti in conto, mentre è più difficile accettare il fango, le calunnie, le manipolazioni che arrivano da ambiti da cui non te lo aspetteresti. Un fango che non colpisce tanto me, che sono una piccola persona, ma la dignità di migliaia di persone che s’impegnano in Libera e con Libera, e che attraverso Libera – penso soprattutto ai giovani – hanno trovato un mezzo per mettersi in gioco per la giustizia e la democrazia di questo Paese. Quel fango è più pesante delle minacce perché colpisce il loro impegno e le loro speranze di cambiamento.

La parola “antimafia” nel 2017 che significato ha?

“Antimafia” è una parola che necessita innanzitutto di una profonda riflessione, se non di una bonifica. Una parola che in questi anni è stata il paravento di protagonismi, persino di forme di illegalità e di malaffare. Essere contro le mafie dovrebbe essere un fatto di coscienza, non una carta d’identità da esibire quando fa comodo. Sospendiamo la parola antimafia e smaschereremo chi ci ha costruito sopra false reputazioni. Ma lo stesso vale per altre parole, ad esempio “legalità”. Si è fatto della legalità un idolo. Tanti invocano la legalità, ma a troppi piace solo quella legalità che coincide con i loro interessi. Lo stesso vale per “società civile”, che è una parola già vuota di senso, perché una società per definizione è formata da cittadini e dunque “civile”. Se proprio vogliamo dare un attributo alla parola società, che sia “responsabile”. È dal grado di responsabilità che si misura il senso di cittadinanza. Delle parole importanti non bisogna abusare. Quando c’è un abuso, significa che dietro la parola c’è il vuoto. Non si è mai parlato tanto di legalità come in questi vent’anni, e mai il livello di illegalità è tanto cresciuto.

 

Il Parco è salvo

La Regione non tocca i confini

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Sorpresa: l’area protetta aumenta. Lunedì delibera in giunta, sconfitto Berlato

(Filippo Tosatto)
Pericolo scampato. Il Parco dei Colli euganei non diventerà una terra di nessuno alla mercé delle doppiette e delle colate di cemento: nel complesso, il suo patrimonio ambientale protetto sarà salvaguardato, anzi lievemente incrementato, mentre il divieto di caccia ai cinghiali (e alle altre specie infestanti) resterà inalterato, salvo le procedure di abbattimento selettivo autorizzate. È quanto stabilisce la nuova delibera regionale messa a punto dalla Giunta di Luca Zaia su proposta dell’assessore all’Ambiente Cristiano Corazzari, incaricato dal governatore di raccogliere i pareri dei quindici sindaci il cui territorio ricade del tutto o in parte nel perimetro vincolato. Una concertazione avviata dopo le proteste suscitate dal controverso progetto di legge di Sergio Berlato, il capogruppo di Fratelli d’Italia-An e patrono delle associazioni venatorie, favorevole a “riclassificare” il parco riducendo del 50% la fascia di protezione così da consentire ai residenti l’esercizio della caccia «alle specie selvatiche dannose alle colture e all’incolumità della popolazione». Una sorta di incubo per i difensori dell’ecosistema e per i municipi, la cui volontà è stata infine recepita da Palazzo Balbi, che la tradurrà in un atto esecutivo nella prossima seduta. Nel dettaglio, le proposte “cartografiche” giunte dalle amministrazioni locali sono così riassumibili: Arquà Petrarca, Baone, Rovolon, Torreglia, Battaglia Terme, Monselice, Montegrotto, Este, Abano e Cervarese Santa Croce, hanno confermato la volontà di mantenere l’attuale perimetro; Lozzo Atestino e Cinto Euganeo, hanno chiesto un leggero ampliamento dei confini del parco rispetto ai vincoli attuali; Vo’, Teolo e Galzignano Terme sollecitano invece una riduzione dell’area sottoposta al Piano ambientale; di modesta entità per quanto riguarda i primi, rilevante, rispetto all’estensione del territorio comunale, da parte dell’ultimo. Tali ipotesi sono state valutate dal gruppo di lavoro Corazzari trasponendo le richieste in un unica planimetria con successive sovrapposizioni cartografiche attraverso le mappe dei vincoli idrogeologici, della vegetazione e dell’habitat prioritari, dei vincoli paesaggistici e di quelli derivanti dal Piano ambientale. A ciò è seguito un ulteriore trattativa con le amministrazioni: il binomio Teolo-Cervarese e la triade Galzignano-Battaglia-Monselice sono state invitate al confronto reciproco nell’obiettivo di garantire continuità alle potenziali aree contigue, e tale prassi ha consentito di “omogeneizzare” le rispettive perimetrazioni. Analoghi ritocchi sono stati concordati con Vo’, Cinto e Lozzo Morale della favola? Oggi il perimetro del Parco Colli, soggetto cioè a tutela integrale, si estende su 18.694 ettari mentre le aree contigue ammontano a 397 ettari. Ebbene, il progetto conclusivo che accompagna la relazione dell’assessore alla Giunta prevede la riduzione di 307 ettari della superficie del parco – ovvero le porzioni urbanizzate del territorio di Vo’, Teolo e Galzignano dove i sindaci, in assenza patrimoni naturali da salvaguardare, chiedono freni meno stringenti – ed il contemporaneo aumento di 397 delle aree contigue, così da innalzare la superficie complessiva sottoposta a vincolo a 18.784 ettari. E il fatidico spauracchio-cinghiali? Al di là della propaganda strumentale, la loro proliferazione incontrollata (causata, peraltro, dagli stessi cacciatori che ne hanno attuato il ripopolamento abusivo una ventina d’anni fa) oltre a provocare frequenti incidenti stradali, crea danni devastanti non soltanto all’agricoltura ma alle stesse bellezze naturali. Per frenarne il dilagare (sono stimati oltre 10 mila capi con crescita esponenziale annua del 220%) polizia provinciale ed Ente Parco hanno varato un piano di cattura che consente una media mensile di abbattimenti pari ad un centinaio di esemplari; tale procedura sarà intensificata, con l’erogazione di maggiori risorse da parte della Regione. Tant’è. Questa è la delibera che sarà sottoposta al territorio e quindi al Consiglio regionale dove, c’è da scommetterci, l’irriducibile Berlato non tarderà ad imbracciare la doppietta.


«La vera insidia oggi è data dalla legge 143 che disciplina l’ente»
Sandon e Miazzi avvertono: a rischio è il Piano ambientale che regola tutte le attività nell’area dei Colli Euganei

(Nicola Cesaro)
Ad ambientalisti e comitati dei Colli Euganei l’attacco di Sergio Berlato al Parco Colli non faceva più tanta paura. Troppo estesa e solida la rivolta dei residenti, delle associazioni, dei naturalisti. Troppo ferma la posizione contraria dei sindaci euganei, o almeno della maggioranza (12 su 15, ad esser precisi). Troppo lontana la posizione stessa della giunta di Luca Zaia, che attraverso l’assessore Cristiano Corazzari ha più volte preso le distanze dal disegno del consigliere-cacciatore Berlato. Per chi ha cuore il futuro del Parco Colli, la sua autonomia e la sua autorevolezza, la sua capacità di indirizzare le scelte di un territorio e il suo peso politico in Veneto, tuttavia, non è ancora il momento di tirare un respiro di sollievo. A far paura, oggi, è il disegno di legge di 143, di iniziativa della giunta regionale, intitolato «Disciplina e valorizzazione della rete ecologica regionale e delle aree naturali protette». E’ stato approvato in giunta nel marzo 2016, presentato il 6 maggio al consiglio e ne è già terminata la discussione generale in Commissione. Il ddl 143, tra le varie cose, sostituisce la legge regionale 16 del 1984, quella che istituisce parchi e riserve naturali regionali, e abroga una sfilza di articoli delle singole leggi istitutive di ciascun parco naturale regionale, eliminando di fatto i vigenti piani ambientali. Compreso quello del Parco Colli. «Stiamo parlando di una legge che per impostazione non è tanto diversa dall’emendamento proposto da Berlato» ha sottolineato Gianni Sandon, ambientalista di riferimento negli Euganei «E’ più raffinato, prevede un percorso in cui almeno è consentito il confronto, ma è altrettanto subdolo. Di fatto il ddl 143 si mangia la legge quadro a cui facevamo riferimento e si porta via anche metà della nostra legge istitutiva. Il risultato? Ci viene chiesto di abbandonare il Piano ambientale e di dedicarci solamente alla natura. Paesaggio, ambiente e territorio, che erano gli altri capisaldi su cui doveva strutturarsi l’attività del Parco, vengono meno. Cosa c’è di differente tra la Regione che ci dice “ora occupatevi solo di natura” e Berlato che stringe i confini del Parco e riduce il territorio protetto ai soli cucuzzoli dei colli?». E ancora: «Questa legge di fatto spezza un cammino lineare che dagli anni ’60 – ricordo che una prima idea di Parco era quella del consorzio di Comuni volontari del 1968 – a oggi ha visto una sempre più convinta affermazione del valore e del potere del Parco. Buttano fuori dalla finestra la legge istitutiva e il Piano ambientale e nemmeno toccano la governance dell’ente, che è uno degli aspetti che invece andrebbe riformato in fretta. Sono gli stessi sindaci a dire che il Parco in mano ai sindaci è stato fallimentare, eppure nel ddl 143 li ritroviamo quasi nella stessa posizione. Rispetto al primo disegno di legge del 2012 è sparita anche la presenza di cinque componenti esterni in consiglio, rappresentanti delle associazione di categoria, degli ambientalisti, dei gruppi culturali». Il timore è condiviso da Francesco Miazzi, altro ambientalista di spicco dei Colli: «Il ddl 143 è il vero banco di prova per il futuro della nostra area e del Parco. Questa legge potrebbe mortificare le vere potenzialità del nostro territorio, trasformando il Parco in un ente dedito esclusivamente a competenze naturalistiche. Un vero e proprio attacco al Piano ambientale, ben più grave di quello sferrato da Berlato».

«No, niente profughi ad Abano»

Barbierato presenta la sua candidatura a sindaco: «Città ospitale, ma va tutelata la sua economia»

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(Federico Franchin )
“Uno de noaltri”. Lo slogan, annunciato venerdì sera in un gremito Cinema Teatro Marconi, è di Federico Barbierato, candidato sindaco con tre liste a suo nome e l’appoggio di Pd e Cittadini per il Cambiamento. «La gente mi ferma e mi dice in dialetto te si uno de noaltri», ha detto alle 400 persone giunte per assistere alla sua prima uscita ufficiale. «Ad Abano mi conoscono tutti come “Frutta”. Da sempre sono un pratico e non un teorico. Dobbiamo recuperare la reputazione che Abano ha perso. Dimostreremo che si può lavorare in legalità e trasparenza».
È stato uno show. Dall’accoglienza ai tanti presenti, ai quali ha voluto stringere la mano uno a uno, alla presentazione spumeggiante alternando l’italiano al dialetto. Da subito Barbierato ha conquistato la gente, che l’ha applaudito più volte. «Parecchi scavano nella mia vita privata e passata, dandomi prima di esponente di An, poi del Pd. In realtà io non ho mai avuto tessere politiche e sono sceso in campo mettendoci la faccia per un gruppo che ho scelto io. Ho scelto persone e programmi e chi vuole etichettarmi porta avanti concetti da vecchia politica».
Incalzato da un paio di esponenti del comitato “Abano dice No”, il candidato è stato chiaro e incisivo sulla questione profughi. «Abano è una città turistica che fa 1.800.000 presenze e ha 3.200 addetti. È necessario un progetto per evitare l’arrivo dei profughi al Primo Roc. Quella caserma è un pericolo. Dobbiamo creare la cittadella della sicurezza, ma anche servizi per la comunità. Dobbiamo tutelare l’economia del paese. L’ho detto al prefetto e lo ripeterò come un disco rotto: Abano è una città accogliente, dove devono però stare bene tutti».
Sui giovani: «Sono il presente di Abano e necessitano di spazi. Una città deve saper integrare giovani e anziani. Tra marzo e aprile organizzeremo un momento di orientamento al lavoro per i giovani, ai quali dedicheremo tra l’altro una lista specifica. Abano ha la fama di essere una città per vecchi? Dobbiamo essere noi a cambiare il modo di proporci».
Immancabile il focus sul turismo. «Dobbiamo valorizzare quello che abbiamo. Il problema non sarà fare presenze, ma far spendere le persone, portando una clientela medio-alta ad Abano. Il benessere per i turisti è dato anche da strade senza buche e non dalle strisce pedonali colorate dove i clienti si perdono. Veniamo da 5 anni di illusioni date da una lista civica, che non è stata quindi meglio dei partiti».
«Ci sono 2 milioni e mezzo di imposta di soggiorno», ha aggiunto. «Facendo un paragone calcistico, dobbiamo essere la Juve, l’Inter e il Milan e non l’Avellino. Dobbiamo sempre lottare per vincere il campionato e non accontentarci della salvezza. Servono emozioni e buona volontà. Per realizzare tutto questo ci sono dei fondi regionali, nazionali ed europei che potremo portare a casa. Questa è l’ultima chiamata per Abano. Non per niente ho scelto candidati competenti, che sappiano leggere un bilancio. Ho scelto di mettermi in gioco e mi dicono che sono un matto. Se sarò eletto rimarrò quello che sono sempre stato. Entro un mese definiremo il programma ascoltando la gente. Vanno stanziati fondi per il sociale, le scuole che cadono a pezzi. Tolleranza zero verso chi rovina i parchi e la nostra città. Intensificheremo la sicurezza. Manifestazioni? Spazio a eventi per bambini e di qualità. Non mi arrendo all’idea che possa saltare l’edizione del Torneo di calcio».


Chi è. Direttore di Ascom e tifoso del Padova

(f.fr.)
Federico Barbierato, 47 anni, si presenterà alle prossime amministrative con una lista a suo nome, un’altra formata da giovani e una terza di sportivi. Ha già incassato l’appoggio di Pd e della civica “Cittadini per il Cambiamento”. Sposato con Laura, ha due figli gemelli di 6 anni. Ha lavorato nelle assicurazioni, negli alberghi, come coordinatore delle risorse umane del gruppo Gb. Attualmente è direttore generale dell’Ascom, dalla cui carica si è sospeso. Laureato in Legge, ha frequentato il liceo classico Tito Livio a Padova. Ha prestato servizio civile per la cooperativa Nuova Idea ed è tifosissimo del Padova.

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26 febbraio 2017

«Pericoloso ridurre il Parco»

Il Bacino idrominerario prende posizione

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(Al.Ma.)
La Gestione unica del bacino idrominerario omogeneo dei Colli Euganei (Gubioce) dice no alla riduzione dell’estensione del Parco Colli. Lo fa con una lettera inviata al governatore Luca Zaia e agli assessori competenti sulla materia. Non è una presa di posizione leggera perché l’ente, di derivazione regionale, ha per suoi associati i titolari delle concessioni minerarie di estrazione dell’acqua termale e il suo compito è la salvaguardia della risorsa idro­termale. «Dalle leggi regionali, al Piano di utilizzo della risorsa termale (Purt), si ricava l’esistenza – spiega nella lettera il presidente Gubioce, Aldo Buja – di un vero piano ambientale di salvaguardia della risorsa, delle aree di riserva naturale, delle aree a parco e delle aree agricole con destinazione a coltura, inclusivo dei comuni di Abano e Montegrotto, Arquà Petrarca, Baone, Battaglia Terme, Due Carrare, Galzignano Terme, Monselice, Teolo e Torreglia».
La scelta di ridurre il parco potrebbe avere conseguenze irreparabili per il termalismo euganeo, si sottolinea nella lettera. Le falde termali si trovano all’interno dei suoi attuali confini. Dal Lago della Costa di Arquà Petrarca (sito Unesco), proviene l’argilla azzurra utilizzata da oltre 100 aziende del bacino nelle cure termali. «Enti locali, comunità, associazioni, privati – afferma Aldo Buja – hanno tutti il diritto-dovere di esprimersi su interventi che incideranno sull’area geografica nella quale vivono e operano. Dopo una serie di osservazioni la conclusione del Gubioce: «Vi richiediamo un approfondito confronto con l’ente Gestione Unica del BIOCE prima di procedere a qualsiasi modifica del piano ambientale, al fine di rendere compatibile l’iniziativa regionale con gli interessi economici collettivi da noi rappresentati».

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26 febbraio 2017

“L’obiettivo? Risolvere i problemi”

Federico Barbierato si è presentato davanti a 400 cittadini

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«Contano i programmi e le persone. La nostra città è in una situazione drammatica”

(Alessandro Mantovani)
«Contano i programmi e le persone». Su questo concetto ha insistito Federico Barbierato, candidato sindaco di Partito Democratico e Cittadini per il Cambiamento, ieri sera al Teatro Marconi in occasione dell’incontro pubblico in cui si è presentato ai cittadini e di fatto ha dato il via alla sua campagna elettorale. Circa 400 gli aponensi presenti nel cinema. Barbierato li ha praticamente salutati uno a uno sulla porta della sala. «Sono un candidato civico. Anche Luca Claudio lo era, ma guardate cosa ha fatto – ha detto Federico Barbierato – Il fatto è che contano le persone e i programmi. La nostra città ha bisogno di competenze ed esperienze perché è in una situazione drammatica». Per sottolineare l’attitudine a risolvere problemi e alla mediazione ha fatto ricorso alla sua esperienza professionale di direttore generale Ascom Padova, lavoro da cui si è già autosopeso: «Nella mia esperienza lavorativa ho avuto a che fare con amministrazioni di tutti i colori; di destra, di centro e di sinistra. L’obiettivo con chiunque, però, è sempre stato la concretezza, il risolvere i problemi. Con questo stesso approccio intendo amministrare Abano». Le elezioni della prossima primavera rischiano di essere pesantemente condizionate, come quelle dell’anno passato, dal tema profughi: «È una tematica che ad alcuni è comodo che ci sia. Ma va detto subito che il I Roc non può essere centro di accoglienza. Perché non lo diventi mai bisogna che il Comune acquisisca il complesso dall’Agenzia del Demanio e sulla base di un progetto condiviso lo destini a funzioni utili per la città». Il quarantasettenne aponense doc, che in qualche momento ha preferito il dialetto, ha ribadito di essere esterno ai partiti «È in corso una ricerca per trovare se ho precedenti esperienze politiche, per mettermi una etichetta. Mi spiace, rimarranno delusi. Non ne troveranno. Questo bisogno di mettere etichette, però, è proprio il segno della vecchia politica. Di chi guarda a quelle piuttosto che ai contenuti. Di chi crea contrapposizioni ideologiche che alla gente non interessano più». Durante la serata Barbierato ha sottolineato come saranno organizzate le sue truppe alle elezioni; «Sarò sostenuto da una lista civica, poi ci saranno quelle delle forze politiche che mi appoggiano: Pd e Cittadini. Infine altre due liste espressione del mondo dello sport e dei giovani».

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25 febbraio 2017

Barbierato scende in campo. «Profughi, Abano va tutelata» (Il Mattino)

Ufficializzata la candidatura: «Convergenza sul programma con Partito Democratico e Cittadini per il Cambiamento. Oltre a quella a mio nome anche altre due civiche»

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(Matteo Marian )
«È già accaduto nella mia vita professionale. Oggi tutti mi dicono che sono matto a lasciare la direzione dell’Ascom (l’associazione provinciale dei commercianti, ndr) per candidarmi a sindaco di Abano. Ma non si può solo stare alla finestra a guardare: per il futuro di Abano è arrivata l’ultima chiamata».
Federico Barbierato, chi l’ha convinta a scendere in campo?
«Ho due figli e vivo da sempre ad Abano, non voglio lasciare loro una città fantasma. La prossima amministrazione avrà la responsabilità di avviare un processo di rilancio non più rinviabile: in caso di fallimento, e dopo tutto quello che è accaduto, non ci sarà più scampo al declino».
Corre per il centrosinistra?
«La mia è una candidatura civica, mi presenterò con la lista Federico Barbierato sindaco. Ho parlato con molti attori della società civile, economica e politica di Abano e su temi per me imprescindibili ho trovato una convergenza con alcuni gruppi».
Quali?
«Con i Cittadini per il Cambiamento, il Partito Democratico e poi ci saranno altre due liste civiche. Una legata allo sport e l’altra ai giovani, con volti nuovi ma molto conosciuti ad Abano. Venerdì prossimo ci sarà la presentazione ufficiale al cinema Marconi».
Non c’è il rischio di alimentare una frammentazione già piuttosto spinta nell’area di riferimento?
«Io, da civico, ho lavorato per unire sui temi. E la convergenza raccolta penso sia importante. Per il resto non ho mai avuto tessere di partito».
L’ex candidata sindaco del centrosinistra, Monica Lazzaretto, così come anche Emanuele Boaretto, presidente di Federalberghi, potrebbero scendere in campo…
«Io vado avanti per la mia strada. Con Lazzaretto non ho avuto alcuna interlocuzione, incontrerò invece Federalberghi. Penso possano condividere la necessità di difendere l’economia turistica termale».
Parlava di punti programmatici, quali sono?
«Abano deve essere riorganizzata e rilanciata. C’è un patrimonio enorme da valorizzare, bisogna tornare ad avere 2,5 milioni di presenze turistiche all’anno come alla fine degli anni Ottanta».
Partendo da cosa?
«Banalmente dal fatto che i problemi vanno affrontati e risolti e non lasciati lì o alimentati ad arte per raccogliere consenso. E mi riferisco in particolare alla questione profughi».
Qual è la sua convinzione sull’accoglienza?
«Abano è una città turistica e va tutelata. Questa sarà la prima cosa che dirò al prefetto. Detto questo è evidente che sul Primo Roc di Giarre non possiamo restare in attesa degli eventi. Va progettata e avviata una riqualificazione di quello spazio con servizi di pubblica utilità prevedendo anche la cittadella della sicurezza con lo spostamento della caserma dei carabinieri. Su questo mi farò aiutare dal Bo per mettere in campo proposte realizzabili».
Perché il turismo termale non è più così trainante?
«Abano deve diventare la città del benessere e non solo delle terme. L’offerta è cresciuta con l’idea che dentro all’albergo il turista dovesse trovare tutto. Oggi, invece, non è più così. Il turista chiede di poter vivere il territorio a tutto tondo e bisogna adeguare l’offerta».
Rilancio del turismo e sicurezza vanno a braccetto?
«Certo, ma non sono gli unici due fattori competitivi. Serve progettualità per riuscire ad allungare la stagione turistica. Ad esempio il torneo di calcio Città di Abano deve tornare. Ma è necessario anche il controllo del territorio: il progetto della polizia di quartiere appena partito è buono e va rafforzato».
Altre priorità?
«Va affrontata la condizione strutturale delle scuole che, ad Abano, è precaria. Bisogna dare tranquillità ai ragazzi e alle loro famiglie».
Come si regolerà con il suo incarico all’Ascom?
«Per statuto l’incompatibilità si configura solo al conseguimento della carica come sindaco o assessore. Io ho deciso di autosospendermi prima».


Aponense doc. Dal 2007 guida dei commercianti

Federico Barbierato si autodefinisce un «aponense doc». Quarantasette anni, sposato con due figli, è cresciuto e vive ad Abano. Elementari e medie nella centro termale dove i genitori avevano un negozio di frutta e verdura. Poi, per le superiori, la scelta del liceo classico Tito Livio. «Eravamo in pochi, all’epoca, a frequentare da non residenti in città il ginnasio di Riviera Tito Livio». Terminato il liceo, l’iscrizione al Bo a Giurisprudenza. Dopo la scomparsa del padre, «avevo 22 anni», la scelta di passare all’università di Ferrara per riuscire ad arrivare alla laurea da studente-lavoratore. «C’era il negozio di famiglia da mandare avanti e la necessità di arrotondare con altri lavori saltuari. Ho lavorato negli alberghi, ho fatto l’aiuto porta fango. Insomma non mi sono tirato indietro …» ci scherza Barbierato. Il primo impiego in un’assicurazione, poi l’assunzione all’Ascom, all’ufficio legale. Tempi duri in associazione sfociati poi in un’indagine. Così nel 2004 Barbierato accetta la proposta del gruppo GB Holtes di Abano come direttore delle risorse umane. Ci resta un anno, poi torna in Ascom come direttore di Ascom Servizi. Ad aprile 2007 diventa direttore generale dell’associazione.

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19 febbraio 2017

Nuovo direttivo della lista civica Cittadini per il cambiamento

Nuovo direttivo della lista civica Cittadini per il cambiamento

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Una nuova squadra per una nuova sfida. Il gruppo politico CITTADINI per il Cambiamento ha rinnovato il Consiglio Direttivo che guiderà la civica di Abano nei prossimi anni e soprattutto alla sfida elettorale del prossimo anno.
Ottima la partecipazione per il rinnovo del parlamentino dei CITTADINI, considerato che nella settimana di apertura delle urne, la quasi totalità degli iscritti – quasi 90 – si è recata nella sede di via don Minzoni per esprimere la propria preferenza.
Ecco i nominativi degli eletti: Davide Talami, Antonio Ferrari, Angelo Parton, Maurizio Tondello, Carmen Medani, Giancarlo Fasolato, Vincenzo Pavan, Beppino Pegge, Ermenegildo Silecchia, Francesco Bovo. Ed ancora, Lidia Pege, Raffaele Bottin, Adolfo Campagnaro, Daniela Bardon, Gian Pietro Bano, Alessandra Tondello, Luca Pavanello, Filippo Maragotto, Dino D’Aloiso, Virginia Gallocchio e Anna Salvo.
Sono stati riparti anche i compiti all’interno del Direttivo: a guidare il gruppo è stato nominato Gian Pietro Bano, anima della civica e consigliere comunale nelle ultime legislature, che assume la carica di coordinatore e sarà affiancato da Alessandra Tondello, vice coordinatore. Attorno a loro una squadra che unisce l’esperienza di persone da anni impegnate per la città e volti nuovi. Virginia Gallocchio è segretario amministrativo, Davide Talami il tesoriere, un gruppo composto da Luca Pavanello, Alessandra Tondello, Virginia Gallocchio e Filippo Maragotto curerà la comunicazione, Antonio Ferrari organizzerà le operazioni di volantinaggio mentre alla coppia Adolfo Campagnaro e Maurizio Tondello è stato chiesto di curare l’organizzazione degli incontri del lunedì – appuntamento storico “a porte aperte” dell’assemblea. Rimane quello infatti il momento della discussione sui temi che riguardano la città e l’occasione per tutti di maturare una visione politica possibile.
“Ringrazio tutto il gruppo che ha svolto con grande senso civico il ruolo di responsabilità assegnatoli dalla cittadinanza negli ultimi anni” – dice il neo coordinatore Gian Pietro Bano – “consapevoli che soprattutto la strada dei prossimi mesi sarà ricca di sfide alle quali non ci sottraiamo, specie in questo delicatissimo momento della vita pubblica di Abano Terme. Lo spirito di confronto e di impegno comune che ci ha unito nel 2006, nel nome del bene della polis, la nostra città, continua ad animare vecchi e nuovi iscritti”
Compiuto questo importante passaggio democratico la civica dei CITTADINI per Cambiamento, inizierà ad interrogarsi su come affrontare la delicata sfida elettorale delle elezioni comunali del 2017 e continuerà con slancio l’impegno per la città di Abano, sempre con l’obiettivo di favorire scelte amministrative orientate al bene comune. Nella consapevolezza che dal momento difficile che la città sta vivendo si uscirà con l’impegno di tante donne e tanti uomini liberi e responsabili.
Alle 21 di ogni lunedì, nella sede di via don Minzoni (dietro il Duomo di San Lorenzo) i CITTADINI si riuniscono in assemblea, alla quale può partecipare chiunque sia interessato a confrontarsi sui temi importanti per la vita di Abano Terme.